Imposizione fiscale in Italia: storia, impatto e strategie future

L'evoluzione dell'imposizione fiscale in Italia: dalle radici del boom economico ai giorni nostri L'evoluzione del sistema fiscale italiano è una storia intricata, ricca di cambiamenti e influenze che hanno modellato l'economia, la società civile, e il tessuto industriale del Paese. Questo articolo esplora come il sistema fiscale italiano si sia trasformato dal boom economico degli anni '50 e '60 fino ai giorni nostri, analizzandone l'impatto su famiglie, mercato del lavoro, industria, e tracciando possibili scenari futuri. Il boom economico e la nascita di un sistema fiscale moderno Durante gli anni '50 e '60, l'Italia era un Paese in piena rinascita. Il boom economico, sostenuto da massicci investimenti pubblici e privati, portò a una rapida industrializzazione. In questo contesto, il sistema fiscale italiano aveva due obiettivi principali: incentivare gli investimenti e favorire il benessere sociale attraverso una redistribuzione del reddi...

E' finita l'era dei mutui con cap

Fino a qualche tempo fa, parlare dei mutui con cap significava discernere su una delle migliori soluzioni offerte dal mercato, sia in termini di tutela economica del mutuatario, sia in termini di tassi di interesse. Oggigiorno, invece, la convenienza di questa tipologia di mutui, ancora largamente presenti sul mercato, è scemata, tanto da renderli poco convenienti e per nulla appetibili. Vediamo perché. Ipotizziamo di stipulare un mutuo a tasso variabile con l'Euribor a 3 mesi intorno allo 0,8%, uno spread del 2,7% (quindi tasso annuo nominale 3,5%) e con un cap al 6%. Ciò significa che le rate del mutuo saliranno con il salire dei tassi fino alla soglia del 6%. Dopodiché risultaranno indifferenti perché la differenza eventuale sarà a carico dell'intermediario finanziario che ha erogato il prestito. In pratica, chi stipula un mutuo con cap a queste condizioni (che per altro centrano la media delle offerte oggi sul mercato per questo prodotto), è sicuro di non dover pagare interessi aggiuntivi sulla rata, nel caso l'Euribor, nel corso della vita del mutuo, dovesse salire di oltre 250 punti base rispetto ai valori attuali. Una protezione che però non è gratuita, dato che gli spread applicati sui mutui con cap nella migliore delle ipotesi sono superiori di circa lo 0,5% rispetto ai mutui variabili standard, privi di opzioni aggiuntive. La domanda è se finanziariamente è opportuno caricare sul bilancio familiare questo sovracosto (tra i 500 e i 1000 euro l'anno su un mutuo ventennale di 100.000 euro), oppure se si tratta di una precauzione eccessiva che nella logica finanziaria, in questo momento e a queste condizioni, non ha ragione di esistere. Per tutta una serie di motivi, oggi, il mutuo con cap non è la migliore soluzione. Innanzitutto lo spread applicato è decisamente più oneroso rispetto a quello conteggiato su un mutuo variabile semplice (spesso superiore allo 0,5% minimo, ipotizzato in precedenza). In secondo luogo, la mancata convenienza è determinata anche dalla soglia in cui è fissato il cap: nella maggior parte dei mutui con tetto massimo, il cap orbita intorno al 6%-7% e vi sono addirittura alcuni istituti che si spingono oltre. Una soglia che, raffrontata ai tassi di partenza attuali, risulta estremamente lontana. Tanto più che, come purtroppo emerge leggendo le previsioni sull'andamento dell'economia nei prossimi 2-3 anni, la ripresa non è vicinissima e, pertanto, c'è da aspettarsi che la fase attuale di tassi relativamente bassi duri ancora per un po'. In pratica, quindi, stipulando oggi un mutuo con cap, si inizia sin da subito a pagare una sorta di polizza assicurativa, che copre la differenza delle rate nel caso in cui i tassi vadano oltre la soglia massima fissata, per un evento di per sé lontano (nel nostro esempio passare da un Tan del 3,5% a uno che superi il 6% implica un aumento del costo del denaro superiore a 250 punti base) e ancor più lontano nell'attuale contesto macroeconomico.

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